Quick Notes

Appunti di critica impressionista (perché non si ha il tempo per approfondire tutto)

18/8/2017

A Brescia, il percorso della mostra Ouverture di Mimmo Paladino inizia da Piazza della Vittoria. L’architettura fascista è sempre stupenda: ha pienamente compreso la sovrumana potenza insita nell’essenza del monumento, più di quanto essa venga espressa nelle scenografie metafisiche dello stesso De Chirico. A uno sguardo d’insieme, le sculture paladiniane ne risultano fortemente indebolite, perdendo il confronto. Questo accade, in verità, in quasi ogni contesto di collocazione delle opere nelle diverse sedi della mostra diffusa, compresi il Museo di Santa Giulia e il Tempio Capitolium. Dove non c’è sproporzione tra spazio e opere situate, si avverte un’amara distonia, come nella grande tela sospesa all’interno della Chiesa di San Salvatore.
Quando Paladino usa il colore sulla scultura, il suo arcaismo si mostra come corrotto da una cosmesi in linea di sangue con il New Dada, il Pop e il Graffitismo. E infatti, le cose migliori vengono alla luce quando il materiale scultoreo si esprime per se stesso, ovvero quando il colore qualifica le due dimensioni. Il momento più eccelso di tutta la mostra è l’intonato abbraccio delle mura del Teatro romano ai cinque dischi degli Specchi Ustori, cangianti tra l’opacità materiale e l’accecamento a seconda della posizione del sole riflesso sull’osservatore.

20/3/2017

Tra le opere della monumentale mostra “L’emozione dei colori nell’Arte”, ho trovato il momento più sublime in quello più tragico. C’è un piccolo dipinto di Rothko che ammalia ed angoscia con una forza estrema, e colma tutto il senso della passione per la vita spingendo quanto è trascurabile per essa in un sordo silenzio del pensiero. Un nastro sfilacciato, come un ponte di corde lontane e stinte, offre l’appiglio a cui lo sguardo si assicura fragilmente precipitando nel più supremo nero. Su di esso indugia ad una vicinanza vertiginosa, mentre lo sorvola alla distanza spontanea della vista, con la stessa lucidità di una coscienza che guarda alla propria morte. Non esiste spettacolo più tetro, essenziale, meraviglioso. Quel margine rosa che sembra carne è l’ultima parvenza di corpo su cui si sorregge l’esistenza guardando con amore alla sua somma finitudine. La morte non può vedersi più dappresso che in questo nulla spazializzato oltre la voragine della pittura.

21/11/2016

Per non lasciarmi condizionare dalla prima impressione, ho voluto tornare a visitare la mostra di Josh Kline in corso presso la Fondazione Sandretto.
La prima installazione, che tenta di magnificare, entro bolle di plastica, le cassette raccolte per sgomberare gli uffici dopo il licenziamento, mette colpevolmente in evidenza il cattivo gusto di fantomatici impiegati (nemmeno un operaio licenziato). In quasi tutte le scatole non manca la sentimentale fotografia di famiglia: quelle che ho sempre visto sulle scrivanie reali erano tutte incorniciate meglio.
La seconda sala rinuncia a qualunque tentativo di cura estetica della rappresentazione. L’impianto scenografico risulta trascurato, i manichini liofilizzati non suscitano la minima inquietudine perché non stimolano alcun moto di empatia, forse nemmeno in un disoccupato, che si sentirebbe, piuttosto, offeso dalla posticcia simbolizzazione della sua situazione reale. Il processo di reificazione dell’umano resta inespresso perché in quei fantocci è immediatamente manifesta la loro origine di oggetti privi di anima. Infine, il video, che ci proietta quantisticamente nella possibilità opposta di un sereno futuro, sfrutta tutta la retorica luminosa e leziosa delle pubblicità di tecnologie che ci fanno risparmiare tempo e sorridere di più tra il prato verde e il cielo azzurro, con tanto di slogan. Molto più perturbante questo video che l’installazione distopica con i carrelli della spesa e i manichini imballati. I titoli delle opere, che ricalcano frasi di circostanza usate nei licenziamenti, fanno insorgere il dubbio che della mediocrità l’artista abbia voluto farne una poetica. Tutto il progetto viene spiegato dal pannello introduttivo con elementare logica luddista. L’operazione di Kline suona come propaganda del lavoro, della famiglia e dei buoni e pacifici sentimenti dove non albergano mai moti di insubordinazione.
L’occasione è utile per esprimere il mio personale punto di vista circa l’inessenzialità del discorso sociopolitico in Arte, che, pur conservando ampia dignità, dovrebbe più modestamente ricevere un carattere derivato. Prova ne è, nella fattispecie, l’inefficacia estetica della mostra di Kline.

04/11/2016

Ho spesso paragonato l’offerta inflazionata della settimana artistica torinese al rumore bianco, il suono indistinto e piatto entro cui vengono riassorbiti tutti gli accenti, esito della somma complessiva di ogni suono possibile.
La spazializzazione dell’evento artistico ha surclassato la temporalizzazione dell’uomo. La visita attenta della sola fiera di Artissima richiede una performance estenuante di un’intera giornata.
Le fiere d’arte sono i nuovi Musei dell’effimero, obbligano alla fruzione istantanea, che non è più una scelta. Stelarc e gli artisti del post human stanno preparando in laboratorio le loro soluzioni per rimettere quello che resterà dell’uomo al passo con la velocità ubiqua dell’industria culturale.

02/11/2016

Dalla visita alla mostra di Nicola de Maria presso la Galleria Giorgio Persano non ho ricavato alcuna impressione di forza: della pittura, delle singole opere, del progetto complessivo, nella novità.
I consueti stilemi sono adottati su scala panoramica per cercare di produrre un effetto di trasformazione dello spazio. Si potrebbe giustificare in profondità l’estetica da workshop per le scuole primarie, con i colori dall’acceso mordente che purificano la visione e il collage ludico-didattico e liberatorio. A mio parere, in questa ennesima versione di arte neoinfantile, manca, tuttavia, la supervisione di un artista adulto, di uno spirito maturo che la sorvegli.
Un certo senso di disinganno può essere insorto in chi aveva superiori aspettative commisurate alla stima verso un pittore inscritto nella storia dell’Arte.