Daniele D'Acquisto. Log: Ricerca - Display - Archivio

Galleria GAGLIARDI E DOMKE - Torino

Testo in catalogo:

I fatti sono stati di cose. Gli insiemi di oggetti che compongono il mondo si uniscono in determinate relazioni, e quest’ordine fisico del loro rapporto, il modo in cui sono posizionati l’uno rispetto all’altro, costituisce il fatto. Queste dichiarazioni appartengono a Ludwig Wittgenstein, tra i primi filosofi del linguaggio, ma descrivono bene l’atteggiamento più adatto per comprendere le opere di Daniele D’Acquisto. I fatti che lo interessano sono prettamente scultorei. La realtà a cui guarda non è per lui l’intero mondo delle cose, ma di quelle cose in particolare che, grazie a uno spostamento di significato, entrano a far parte del dominio della scultura. Concretamente, può avvenire nello studio dell’artista, in un museo, una piazza o un paesaggio, oppure anche solo con un modo specifico di osservare gli oggetti in qualsiasi contesto, prestando attenzione alla forma e al volume che occupano piuttosto che al loro normale utilizzo.

Come per Wittengstein, gli oggetti e gli stati di cose formali di D’Acquisto non rispondono ad alcun interrogativo filosofico fondamentale. Per intuire l’impronta scultorea delle cose non serve sapere se la realtà è un’apparenza, un sogno, una proiezione artefatta della mente, oppure esiste con ogni evidenza di verità come spazio fisico assoluto. I presupposti della scultura di D’Acquisto appartengono al senso comune, alla naturalezza con cui siamo certi della presenza di oggetti intorno a noi. Sono questi oggetti che, riempiendo il proprio volume, diventano scultura. Quello che di essenziale si può dire è che della coscienza comune fa parte l’esperienza di un mondo esterno tridimensionale, sviluppato in superfici e profondità nella nostra percezione. E che lo spazio non è nulla di astratto, di puramente geometrico, bensì una sostanza invisibile che collega i corpi, li attraversa e muta insieme ad essi.

Il mondo è dato, dunque, nello spazio continuo, che per D’Acquisto è la materia stessa della scultura, al di là dell’aspetto finale dell’opera o delle fattezze dell’oggetto che può interpretarla occasionalmente. Quando un frammento della realtà viene trasformato in volume puro perde ogni legame con la sua esistenza ordinaria. La funzione che aveva in origine gli viene totalmente sottratta, in modo che la percezione possa concentrarsi esclusivamente sugli effetti formali. Non c’è altro coinvolgimento psichico, né la prospettiva del piacere che potrebbe derivare dall’uso a cui l’oggetto era destinato, come la soddisfazione per il comfort di una sedia, o per l’eccellete tenuta di strada in velocità di un pneumatico per automobili. Anche la provenienza, in questa nuova ottica di forme purificate, diventa irrilevante. Che l’oggetto sia il risultato dell’ispirazione plastica dell’artista, il prodotto di un processo industriale, oppure un elemento naturale come un tronco di legno risulta del tutto indifferente. Nel primo caso viene meno l’enfasi sul genio ispirato dello scultore; il secondo distingue le appropriazioni dalla realtà di D’Acquisto dal readymade classico di tipo duchampiano; nel terzo manca ogni riferimento a una poetica naturalistica come poteva esprimersi, ad esempio, nell’Arte Povera. Per scoprire delle insospettate affinità dovremmo piuttosto guardare alle nature morte di Cézanne, al suo realismo articolato per mezzo delle forme solide (ma non astratte) del cilindro, della sfera e del cono, e alle sue proverbiali mele, che lo interessavano meno come soggetto che come pretesto figurativo per dare sostanza al volume attraverso il colore. Il tronco che D’Acquisto deposita tra gli elementi di un’installazione è appunto un cilindro scultoreo, senza implicazioni di altro ordine.

Questo permette anche di marcare una distinzione tra la materia profonda della scultura e i materiali empiricamente assemblati. Quando l’artista dà un particolare valore alla materia di cui si serve significa che questa viene caricata di un proprio significato simbolico. La terra e il legno nell’Arte Povera ne sono un esempio. In D’Acquisto, al contrario, se la materia coincide con la pura sostanza spaziale, i materiali di cui si compone l’opera non esprimono per se stessi alcun significato. L’autentica sostanza plasmata è unicamente il continuum dello spazio, mentre i materiali degli oggetti vengono desimbolizzati.

Lo spazio denso, dunque, si modella intorno alle cose come se ne prendesse il calco, ma continua senza interruzione tra l’interno e l’esterno del loro perimetro, unendo e fondendo i corpi. L’apparente vuoto che li separa è parte integrante dell’insieme scultoreo. Le “Strings” (stringhe) di D’Acquisto sono la materializzazione, sotto forma di spessi e flessuosi nastri, della continuità nello (e dello) spazio. I loro allacciamenti, lo scorrere dentro, intorno e tra le cose, l’infiltrarsi sinuoso in ogni ambiente rendono sensibili i rapporti nella disposizione interna agli stati di cose scultorei. Se le stringhe venissero prolungate all’infinito per marcare tutti i punti geometrici del luogo che attraversano, lo riempirebbero per intero. Trattandosi invece di segni, descrivono la consistenza, il senso e perfino la poesia delle sue relazioni spaziali.

Se gli oggetti comuni terminano la loro vita precedente entrando nel dominio della scultura, trovano qui la propria rinascita. Tutto ciò che concerne la nuova esistenza è essenzialmente spaziale e agisce retroattivamente sull’intera memoria degli oggetti. La cronologia dei loro movimenti, delle interazioni fisiche con le altre masse, delle trasformazioni interne e della ristrutturazione spaziale degli ambienti in cui agiscono, confluisce nelle condizioni raggiunte allo stato attuale. Dal momento che un corpo di qualsiasi tipo, anche quello umano, viene interpretato come espressione di uno spazio che comunica con altro spazio, il modo specifico in cui quel corpo si dispone nel presente diventa la risultante di tutto ciò che gli è accaduto spazialmente nel passato. Lo stato formale che si osserva è il calco delle azioni impresse dal tempo in continuo riassestamento.

Quando un corpo si muove ciò che lo circonda deve adattarsi e riconfigurarsi intorno alla sua presenza fisicamente ingombrante. Un pneumatico, ad esempio, sciolto dalle sue origini umili di prodotto commerciale, diventa una nuova entità spaziale all’interno dello studio dell’artista. Qui può servire a sperimentare elaborate composizioni e installazioni, entrando in rapporto con altri oggetti che ne fanno parte, ma anche con quelli accessori che arredano lo studio: la postazione di lavoro, con sedia, scrivania e computer, una poltrona per gli ospiti, i lampadari, e così via. Concluso il suo compito sperimentale, la scultura-pneumatico non smette di esistere spazialmente, e necessita di essere accantonata in un magazzino. Fino a quando l’opera viene destinata a una mostra. Il pneumatico ha bisogno, allora, di un solido imballaggio per il trasloco. I trasportatori devono conoscerne le misure d’ingombro per poterlo inserire economicamente nel vano di carico del proprio camion. Per l’azienda incaricata l’economia di spazio si traduce in economia di spesa. Gli effetti del movimento si ripercuotono, infine, sugli ambienti della sede espositiva, in cui si produrranno nuove condizioni fino al termine della mostra, che costituirà solo un ulteriore e transitorio episodio nella biografia spazio-temporale del pneumatico-scultura.

La mostra LOG (R-D-A) aggiorna al presente lo stato delle opere di Daniele D’Acquisto e, nello stesso tempo, riassume il suo particolare concetto di scultura esteso all’esperienza cumulativa della ricerca sulle forme. Il termine “log” proviene dal linguaggio informatico. Corrisponde a un registro degli eventi che si verificano durante l’uso di un dispositivo elettronico. Il file serve dunque a raccogliere una memoria operativa. Per analogia, l’esposizione e il modo specifico in cui appaiono le opere – che D’Acquisto chiama display (D), mutuandolo ancora dall’informatica – uniscono e fissano in una determinata rappresentazione le dinamiche spaziali memorizzate fino a quel momento dagli oggetti.

Dal punto di vista formale non tutti gli oggetti riescono però a comunicare la propria intrinseca unità con la somma degli eventi trascorsi. Le opere d’arte, in particolare quelle espresse dalle tecniche tradizionali come pittura e scultura, sono consegnate, una volta compiute, a un momento temporalmente isolato, concentrato nell’istante in cui manifestano idealmente il loro completo significato agli occhi di chi osserva. Rodin fu il primo artista moderno a liberare la scultura dal suo isolamento temporale e a conservare in essa le impronte del passato. Anziché levigare le superfici fino a cancellare i residui delle saldature e delle giunture rimaste in eccesso dopo la fusione del bronzo, lasciò in qualche caso che l’opera finita includesse queste parti informi. In questo modo legava indissolubilmente il significato e l’impressione visiva al processo produttivo che li precede. In LOG (R-D-A) D’Acquisto adotta una diversa strategia. Le installazioni che impegnano il nucleo principale della mostra sono realizzate assemblando le casse che servono a conservare le opere negli intervalli di tempo in cui non sono esposte, durante gli spostamenti da una sede all’altra o nel deposito della Galleria. Il volume delle casse è dunque strettamente connesso da una parte con la memoria spaziale di ciò che devono contenere, dall’altra con gli ambienti in cui sono di volta in volta spostate e collocate. La loro funzione è essenzialmente unita, quindi, non solo alla forma che possiedono, ciò che le rende scultura (l’oggetto è fabbricato in un certo modo per adempiere efficacemente al proprio scopo), ma anche alle dimensioni fisiche e temporali dell’opera al loro interno e della Galleria. Il loro valore cronologico si rende immediatamente evidente nell’unità tra forma e funzione.

Affisse alle casse ci sono le foto delle opere, come quando è necessario riconoscerne il contenuto una volta arrivate a destinazione dopo un trasferimento, o per individuarlo facilmente quando sono stipate in un magazzino. Assemblati nelle installazioni in mostra i parallelepipedi proseguono la ricerca (R) di Daniele D’acquisto sulla plasticità degli oggetti comuni. Visti nel loro sedimento mnemonico, immettono nella forma il tempo accumulato. La catalogazione per mezzo delle foto e il rapporto con la vita delle opere aggiunge alla funzione primaria dei contenitori anche quella dell’archiviazione (A).

Si produce in questo modo uno slittamento dinamico e continuo tra i momenti della (R)icerca (sullo statuto e sulla realizzazione della scultura, visto che ogni cosa può diventarlo), del (D)isplay (l’aspetto dato all’esposizione), e dell’(A)rchivio, articolati l’uno dentro l’altro senza gerarchie di valore o di priorità. Perfino l’archivio può rappresentare un inizio dal momento in cui l’autore decide di costituirlo, prima ancora che gli elementi comincino ad essere catalogati, sistemati ed esibiti. Le diverse dimensioni (R-D-A) si incontrano così in una circolarità speculare. Le casse fanno parte della memoria e del tempo spaziale delle opere. Servono per la conservazione e l’archiviazione. Le opere, a loro volta, entrano letteralmente nella funzione e nel processo di vita delle casse che le devono custodire. Insieme sono oggetti di un’indagine sulla morfologia della scultura, che assorbe in sé anche lo spazio circostante della Galleria. Qui casse e opere sono contenute, sia durante l’esposizione, sia quando tornano oggetti d’uso. Anche la Galleria accede pertanto a tutte le fasi: prima come deposito ordinato (archiviazione), poi venendo plasticamente organizzata insieme agli oggetti che vi sono esposti (ricerca), infine come scena dell’esposizione (display). In questo senso, la mostra non è che la cornice e lo sfondo degli stati di cose scultorei.

Un prima e un poi però non ci sono. Ogni cosa possiede contemporaneamente differenti modi di esistere, tra loro intercambiabili e sovrapponibili. Attraverso lo spazio corre un raggio d’azione continuo che unisce e genera l’uno dall’altro i diversi momenti. Detto in simboli, la serie senza fine delle possibilità intercambiabili suonerebbe RDA, DAR, RAD, ADR, ARD, DRA, DRRA, RADR, RRAAD, RRADDA, DARRAD, etc… nella quale opera-oggetto, casse-installazione e spazio espositivo si scambiano in continuazione le parti di (R)icerca, (D)isplay e (A)rchivio. Le ricorrenze di questa serie danno quindi il titolo alle altre fotografie che si trovano sulle pareti della Galleria-display-archivio-scultura. Si crea così, nella ripetizione tra le foto sulle casse e quelle alle pareti, un effetto di mise en abyme, con volumi e funzioni incastonati l’uno dentro l’altro potenzialmente all’infinito. Le bande metalliche che tagliano le immagini simboleggiano il nastro adesivo che nella realtà tiene ferme le fotografie ai contenitori, ma svolgono anche lo stesso compito delle stringhe che misurano e attraversano lo spazio divorando oggetti.

Anche il vuoto ha un preciso senso plastico. Tutto fa parte di un’unica costruzione: il profilo degli oggetti che definisce le singole identità scultoree, i pieni e i vuoti creati dalla loro presenza e assenza, le relazioni spaziali trascorse e presenti. Al di fuori degli imballaggi le opere riconquistano la propria unità formale. D’Acquisto le distribuisce nelle sale in modo spoglio e discontinuo, per mettere in evidenza il ruolo fondamentale che assume lo spazio architettonico in chiave scultorea.

Strings è una porzione in scala ridotta di un’installazione più ampia. La versatilità e la misura variabile di questi nastri è inclusa nel loro concetto, poiché la lunghezza può essere estesa o interrotta a piacere per appropriarsi di uno spazio relativo, commisurato all’invasione del luogo in cui scorrono. Un lembo della stringa si allaccia alle travi della Galleria trascinandola nella propria dimensione formale.

Dal punto di vista linguistico i tracciati audio di D’Acquisto si comportano come la figura retorica della sinestesia: materializzano il suono in un blocco visibile e tangibile. Le cosiddette “forme d’onda” che registrano graficamente l’ampiezza dei segnali audio vengono proiettate nelle tre dimensioni per diventare, ancora una volta, scultura. La registrazione di GoRe – Ok Huston, We’ve had a problem here… (mono) estende l’orizzonte e il sentimento spaziale allo smarrimento cosmico provato in orbita dagli astronauti della navicella Apollo 13, costretti a un rientro di fortuna sulla Terra dopo l’aborto della missione di allunaggio a causa della rottura dei serbatoi dell’ossigeno.

Le sagome astratte del ciclo Regola (E1, D1 e B1) sono lembi di spazio strappati dai contorni di un mobile, lo stesso su cui scivolano e penetrato i nastri di Strings. L’area intorno alla piccola credenza prende corpo come uno stampo in negativo sui bordi dell’oggetto, compattandosi in segmenti e solidi geometrici che a loro volta cercano l’equilibrio con il luogo in cui fluttuano.