18/4/2025
GIORGIO GRIFFA. LA NUDA PITTURA RINASCE DAL CAOS
Intervista all'artista Giorgio Griffa | Espoarte #129
Una lunga linea continua, concentrata silenziosamente in se stessa sulla meditazione del proprio incerto scorrere dipinto a mano, colorata, i contorni assorbiti nello sfondo della vita – tra gli spazi trasparenti al suo vuoto zen –, a tratti affiorante su tele grezze, tessuti, carte vergini, frammenti sottili di realtà, è l’opera universale di Giorgio Griffa. Nel suo evolversi insieme al tempo la linea trova degli arresti, a volte il bordo estremo di una superficie, un accidente come una piega nella tela o l’angolo tra due pareti, oppure obbedisce semplicemente all’arbitrio dell’artista, perché ogni attimo della linea, quando debba iniziare e perché debba interrompersi, è anche l’impronta della libertà del pittore. Un nuovo punto è la mostra antologica Unfinished (dal 13 febbraio al 29 maggio), inaugurata presso gli spazi della Fondazione Giorgio Griffa, al secondo appuntamento espositivo dopo l’apertura al pubblico della nuova istituzione torinese nell’ottobre dello scorso anno. Il punto che invece non compare in una scrittura senza fine è l’ultimo. In collaborazione con la Fondazione, il non finito racconto dell’artista proseguirà con la grande mostra curata da Ilaria Bonacossa e Sébastien Delot Giorgio Griffa. Dipingere l’invisibile, in preparazione al Palazzo Ducale di Genova per l’apertura prevista nel marzo 2025.
Tenuto conto dell’estrema semplificazione, potremmo dire che sul finire degli anni ‘60 il mondo dell’arte era divaricato tra le analisi del Concettuale e l’esuberanza energetica della materia nell’Arte Povera. Insieme a pochi altri, lei ha perseverato invece nella ricerca di nuove prospettive e nuovi significati per il linguaggio pittorico. Nel suo lavoro di riduzione ai minimi termini si può forse vedere il tentativo di dare corpo alla nuda pittura, non al suo concetto, ma all’incarnazione in immagine della sua idea attraverso l’azione purificata del dipingere. Cosa significano per lei pittura e dipingere?
Pittura per me significa percorrere qualche istante di una plurimillenaria strada di conoscenza, la porta aperta sull’ignoto che resta tale, affrontare la scommessa che essa sia ancora capace di raccontare il nostro tempo.
Osservando i suoi dipinti, un elenco dei caratteri primari della pittura potrebbe includere superficie, linea, colore, spazio (nel caso specifico, quello del luogo che la contiene è più rilevante dello spazio illusorio dell’immagine), tempo e decorazione. Ci sono secondo lei altri elementi essenziali?
Aggiungo l’intelligenza della materia, di cui stiamo divenendo consapevoli, con riguardo sia alla intelligenza interna dei materiali che si combinano fra di loro, sia alla immensa memoria umana che la pittura porta in sé. Le arti sono un’invenzione dell’umanità.
Anche la sensibilità estetica, che passa attraverso la configurazione della materia, conserva un ruolo fondamentale. La decorazione, testimoniata anche dalla comparsa degli arabeschi nelle tele, scorre sul crinale tra la superficialità dell’ornamento e il senso della bellezza. Perché ritiene importante questo aspetto in una pittura spogliata fino alla sua nuda presenza?
Io non ho inventato nulla. Di fronte all’Universo che cambiava, Kandinskij e Mondrian, che per vie diverse cercavano la perfezione, hanno intuito che dovevano abbandonare la figurazione. Nel mio caso la figura è divenuta superflua per una scelta della mano che poco a poco l’ha espulsa. Forse c’era la intuizione inconsapevole che si tratta di introdurre qualche elemento dinamico nella condizione statica della pittura. Il non finito, il non dipinto, si atteggia come gli intervalli di silenzio nella musica, e questa è per sua natura dinamica.
Se ho ben compreso, lo spazio della bellezza coincide con un movimento necessario, di cui l’arabesco disegna i volteggi armonici tra quegli intervalli di silenzio.
Potremmo dire così.
L’opera compiuta aspira alla durata eterna, il suo essere “finito” si sottrae alla vulnerabilità della vita. Il non-finito fissa invece all’interno dell’opera la temporalità del divenire assimilandola alla finitudine dell’uomo. Cosa insegnano i suoi dipinti a proposito di questo paradosso?
Il nostro concetto di perfezione continua ad essere statico, immobile ed eterno, sebbene si sia passati ad un Universo in perenne evoluzione e l’eternità sia forse la assenza del tempo anziché un tempo che non finisce mai. I miei quadri “non finiti”, proprio perché non finiti, non possono raggiungere quella perfezione e mi auguro che ne sappiano offrire un aspetto dinamico.
Con la serie delle lettere e dei numeri affiora l’idea di un ordine sotteso alla realtà. Ma le serie sono ancora una volta non-finite, e lo stesso numero aureo, spesso dipinto con altri segni, appartiene alla classe dei numeri irrazionali. Che rapporto c’è tra l’ordine e l’incommensurabile, tra perfezione e disordine, tra caos e volontà?
Mi è stata molto utile la lettura di qualche libro di divulgazione scientifica, in particolare la questione dell’entropia, misura del disordine. In modo molto grossolano e forse sbagliando mi affascina questo sistema dinamico: per effetto della complessità ogni ordine genera elementi di disordine, i quali possono organizzarsi in un nuovo ordine, che a sua volta porta elementi di disordine, ed essi costituiscono un nuovo ordine, e così via all’infinito. Esattamente il contrario del caos.
In effetti, il principio entropico conosciuto dalla fisica prevede che un sistema ordinato di partenza tenda gradualmente al suo completo disfacimento, mentre constatiamo che gli ordini, al contrario, non smettono mai di rinascere dall’informe. Esattamente il contrario del caos.
Parliamo della nuova Fondazione. Oltre alla tutela della sua opera con la costituzione dell’Archivio, la Fondazione Giorgio Griffa si apre alla programmazione di attività culturali. Come nasce la volontà di dotarla di un proprio spazio espositivo?
La pittura nasce per essere guardata e i grandi formati spesso restano negli armadi.
www.fondazionegiorgiogriffa.org

Obliquo, 1977, acrylic on canvas, 125x81 cm_ Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ ph Federico Rizzo

Sette colori, 2000, acrylic on canvas, 177x329 cm_ Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ ph Federico Rizzo

Sette colori (dettaglio), 2000, acrylic on canvas, 177x329 cm_ Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ ph Federico Rizzo

Sette colori (dettaglio), 2000, acrylic on canvas, 177x329 cm_ Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ ph Federico Rizzo

Disordine ES, 2024, acrylic on canvas, 118X206 cm_ Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ ph Federico Rizzo

Veduta dell'allestimento in Fondazione Giorgio Griffa_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa

Undermilkwood (Dylan Thomas), 2019, acrylic on canvas tarlatana, 200x650 cm Courtesy Fondazione Giorgio Griffa _ Ph Giulio Caresio

Canone aureo 948, 2015, acrylic on canvas, 303x378cm_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa

Matisseria n.2, 1984, acrylic on canvas, 116x390 cm_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa

Montale, 2019, acrylic on canvas, 250x650 cm_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa

Obliquo, 1976, acrylic on canvas, 104x141cm_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa

Veduta dell'allestimento in Fondazione Giorgio Griffa_ Foto Federico Rizzo, courtesy Fondazione Giorgio Griffa (2)