28/11/2017

TOMMASO TOSCO: LA LUNA NEL SOLE, LA TERRA NELL'UOMO

All’interno dello spazio di una mostra, quello che l’abitudine induce ad aspettarsi è un certo ordine nella disposizione di oggetti discreti offerti come inneschi formali per la contemplazione o la riflessione intellettuale. Attraversare gli ambienti in cui Tommaso Tosco interviene porta, invece, ad un’esperienza differente che muove tra le poste effimere di un viaggio, disseminate come una raccolta di materiali prelevati nel cammino e ricollocati come ausilio mnemonico per ripensare ai passi in cui terra, cielo e uomo si sono allineati per degli istanti come in una rivelazione.

Il rapporto trasparente tra l’uomo e la sostanza del mondo è da considerarsi una chimera mitologica, se non altro perché sostanza e mondo sono concetti che si mediano nel pensiero come contenuti di una rappresentazione. La materia che Tosco manipola non entra, invece, in alcuna rappresentazione. Essa non esiste come substrato universale cui viene data forma, ma si differenzia di volta in volta tra ferro, argilla e bitume come occasione plastica e tangibile di un contatto sensoriale, in cui l’impressione del gesto si rapprende per conservare in tempi più o meno lunghi, comunque a misura d’uomo, lo slancio volitivo verso gli elementi. Perché il tempo è intrinseco alla materia stessa. Se l’argilla indurisce, l’uomo ha imparato a conoscerne la durata, e la governa per imbastire figure e segni che significano solo la traccia di se stessi e della volontà incisa nella carne della terra, e nient’altro. Quando, invece, l’artista distribuisce una sabbia fine di silice, a volte delle foglie, radunandole sul pavimento, è perché lascia entrare nell’opera la transitorietà dell’esistente. Anzi, lascia che essa si esprima spontaneamente attraverso i materiali.

Svincolandosi dai rapporti mediati con il tempo e le forme, dunque, Tosco intende ridare vita a una conoscenza profonda degli elementi, sovrapponendo i nuclei dell’uomo, della terra e del cosmo in cerchi concentrici e, allo stesso tempo, sforzandosi di mantenere i piani su un livello di purezza essenziale. Ma questo non significa solo simboleggiare nell’immagine del cerchio, variamente declinato in più opere, la circolarità onnipervasiva del tempo, che sarebbe ancora una forma; né offrire il modello di una cosmografia. Si tratta, invece, di far coincidere passioni e scosse su scale differenti, su stadi sovrapposti di esistenza. Le forze che spostano i pianeti, fanno esplodere stelle e collidere corpi celesti, sono le stesse che muovono le faglie della terra, e identiche, ancora, a quelle che sconvolgono lo spirito secondo gli accidenti vissuti nel soggetto. Così come la pacificazione dell’animo si rimette al seguito degli equilibri astrali, delle armonie che tengono insieme le energie, in un rivoltarsi vicendevole di esterno e interno tra essere umano, ambiente, terra e cielo. La biografia non soffre più alcuna discontinuità con la geografia, con la tettonica terrestre e con il moto cosmico.

Il centro, per Tosco, non è mai un nucleo di significato per la totalità dell’universo, ma l’esito destinale di una trasmissione di eventi che dall’infinito discendono fino alla pressione della mano nel corpo della terra. Una volta rilasciato, il centro si mantiene per il lasso di tempo determinato dalla materia impressa, e va a disseminarsi nella molteplicità di altri innumerevoli centri.

Tosco esplora una poetica di rifusione di ciò che nelle epoche si è separato: il sole e la luna, come nell’opera Rebis o due soli, espressione androgina di maschile e femminile, di verticalità zenitale e gravità orizzontale, unite e diversificate nell’occhio colorato di un mandala; il positivo e il negativo del rapporto figura/sfondo, come nelle lingue di fuoco ricavate dalle fenditure di altre composizioni in acciaio corten, complementari ma entrambe formalmente assertive; di forma e sostanza, di materia e tempo, nel tentativo di fare l’esperienza di una vicinanza originaria del tutto.


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