1/10/2024
CARETTO-SPAGNA. ECOLOGIA DELL'ALTRO E CONNESSIONI SALVIFICHE
Intervista agli artisti Andrea Caretto e Raffaella Spagna
Immaginate di sbarcare su un altro pianeta senza tute spaziali o un equipaggiamento di sicurezza. Con ogni probabilità il vostro corpo si seccherà, si disintegrerà, imploderà, prima ancora che possiate muovere il primo passo nell’aria extraterrestre. La composizione chimica, l’atmosfera, gli elementi naturali, la pressione, la luce, perfino lo scorrere del tempo nel mondo alieno non sono adatti alla forma di vita umana. Sono necessarie le condizioni della Terra, con tutte le caratteristiche che concorrono a rendere possibile l’esistenza degli organismi nati contingentemente in questo ordine della natura. Ogni elemento del nostro pianeta si combina nella totalità integrata dell’ecosistema che ha permesso l’insorgere della vita e la sua durata fino a oggi. Non che la sussistenza di qualunque essere, tantomeno dell’uomo, sia da considerare una finalità del Creato – su scala cosmica sappiamo di essere pressoché insignificanti -, ma se la coscienza vuole continuare ad abitare i corpi e gli ambienti in cui dimora, deve conoscerli in profondità e legarsi alla sopravvivenza reciproca e interrelata tra la sfera di questa natura e la propria esistenza.
“Abitare” è una delle dieci sezioni in cui si articola il volume Bright Ecologies. Caretto/Spagna: experiences, forms, materials, progetto editoriale che rispecchia pratiche, ricerca, politiche comunitarie ed ecologiche, fluidità e opere nei vent’anni di attività della coppia di artisti torinesi Andrea Caretto e Raffaella Spagna, da sempre impegnati attivamente nell’ascolto e nella conoscenza di tutte le alterità viventi e non viventi che compongono la base del mondo-ambiente in cui agiamo. L’arte diventa per loro lo strumento di adattamento transitorio delle forme che si manifestano negli attraversamenti tra mondo e vita, un’esperienza senza soluzione di continuità nel processo circolare tra azione, trasformazione, forma, sapere, responsabilità ed espressione.
Ripercorrendo i vostri due decenni di carriera attraverso questo volume in cosa vi siete maggiormente riconosciuti? Quali temi e attitudini sono rimasti centrali nel tempo e in che modo si sono evoluti?
La curiosità verso il mondo, il desiderio di esplorarne la complessità, l’impulso ad avvicinarci ad altre forme di vita, seguendone i cicli ed i flussi di trasformazione e metamorfosi, è ancora oggi al centro della nostra pratica artistica. Si tratta, innanzitutto, di un modo di vivere, un’inclinazione spontanea al confronto ed a prendere gli Altri “sul serio”, siano essi piante, umani, rocce, microrganismi, considerandoli dei soggetti attivi nel mondo, che abitano insieme a noi e dentro di noi.
Esplorare nuovi modi di abitare il mondo ci ha condotti a considerare l’opera d’arte quale manifestazione di un complesso “campo relazionale”, come qualcosa che ha origine dall’azione di un insieme di forze, oltre quella dell’artista, che agiscono e collaborano a dare forma alle cose.
In questi anni abbiamo seguito il nostro desiderio, cercando di percepire impulsi e urgenze profonde. E’ un’attitudine che ci ritroviamo addosso, come un carattere innato, ma che nel tempo ci ha posto di fronte a precise scelte: per mantenere attivo il contatto con il desiderio è necessario dargli fiducia (fidarsi di esso), seguirne le tracce, ovunque esse conducano. Il paradosso – che nelle arti ci pare evidente ma che probabilmente è presente in ogni aspetto della vita – è che più si riesce ad attingere alle profondità individuali e più esse sembrano risuonare anche nelle altre persone.
Viviamo in un’epoca di grande crisi che è in prima istanza una “crisi estetica”, un’incapacità di percepire la vitalità delle cose del mondo, la nostra partecipazione in esso e la dipendenza reciproca.
Nel tempo è aumentata in noi la consapevolezza del potere trasformativo della pratica artistica, il piacere e l’importanza di condividere le proprie esperienze.
Tutto è connesso, ma le parole possono registrare nelle trasformazioni semantiche i sintomi di un impoverimento dell’essere e l’inaridirsi dell’intelligenza spirituale. L’unità e la continuità tra gli enti del mondo e tra i diversi regni (umano, vegetale, animale, minerale) sono falsati e distorti nelle “connessioni” attraverso internet.
Viviamo una situazione paradossale nella quale, a quest’epoca di massima “connessione” e globalizzazione, corrisponde, per certi versi, quella della massima disconnessione e alienazione dal mondo e dalla sua vitalità. Per una larga parte degli abitanti del pianeta, l’esperienza diretta della vita è mediata da dispositivi e dalle loro emanazioni, e così il mondo finisce per perdere il suo corpo. Molto significativa l’immagine evocata da Tim Ingold nel descrivere come la tecnologia digitale ha inizialmente ridotto la funzione delle mani alle sole dita, e poi le dita ai soli polpastrelli, appendici sconnesse dalla materialità del mondo. “Ed ora che la tecnologia digitale ha messo il mondo sulle punte delle nostre dita, ce lo sta adesso strappando dalle mani”. (Tim Ingold, Pensare con il pane, public talk per Madre Project/Terzo Paesaggio, Milano 13 settembre 2023)
Non più dunque un rapporto tra corpi, di animali diversi, piante, rocce, ecc., ma un’esistenza bidimensionale, appiattita sullo schermo di un dispositivo. Tutto questo ha delle conseguenze. Nonostante tutto continuiamo a mangiare altri corpi, respirare gas prodotti da altri organismi, e questo esistere smaterializzato è solo apparente. Inoltre all’impalpabile leggerezza del cloud e del web – com’è noto – corrisponde in realtà un’infrastruttura fisica potentemente energivora, enormi quantità di risorse materiali con nomi precisi (stagno, tungsteno, tantalio, cobalto, oro, silicio..) sono estratte in modo iniquo ed in condizioni estreme.
Il processo di alienazione dal mondo, nella nostra cultura, ha però delle radici molto più antiche e profonde; è espressione dell’egemonia della riflessione astratta, intellettuale, rispetto ad altre forme di apprendimento e di modi di conoscere il mondo. Internet è forse l’espressione estrema di un certo modo di intendere la conoscenza come dato puramente informativo, che prescinde dall’esperienza e che concepisce il corpo come un qualcosa dal quale è possibile emanciparsi.
La vostra ricerca persegue un tipo di conoscenza fluida che non si definisce attraverso le forme, nonostante, dopo un periodo di rifiuto della produzione di oggetti che ha privilegiato il significato espresso dalle azioni, siate tornati ad affinare l’aspetto concreto e formale delle opere.
Durante i primi anni della nostra collaborazione (2002-2008), abbiamo entrambi vissuto una sorta di rifiuto verso la produzione di nuovi oggetti. Per essere più precisi, conferivamo all’esperienza in sé (del camminare, raccogliere, scavare, ecc. da noi intesi come “atti estetici”), il valore di opera, ed al corredo di produzioni materiali la qualifica di pura documentazione. Il nucleo essenziale del lavoro era dunque intangibile e risiedeva unicamente in quel vissuto incorporato nella propria esistenza.
Fu grazie all’esperienza del 2008 presso il Cairn (Centre d’Art Informel de Recherche sur la Nature) di Digne-les-Bains, lavorando sulle cave di gesso e sul processo di trasformazione del gesso in scagliola, uno dei materiali tradizionali della pratica artistica, che siamo ritornati a riflettere sull’importanza della questione della forma, sulla scultura e sulla responsabilità che l’artista si prende nel dare forma alle cose. La forma è un aspetto sostanziale di tutte le cose: non solo tutto ha una forma, ma in fondo tutto è forma, la vita è essenzialmente una questione di forma.
Le cose acquisiscono la loro forma, mai definitiva, in relazione al campo di forze che agisce in quel luogo e tempo. La forma è quindi una proprietà emergente. Nel nostro modo di intendere la morfogenesi, l’opera d’arte stessa è espressione di un campo relazionale molto ampio che comprende esperienze, persone, materiali, luoghi, esseri diversi, cose… nel quale l’artista è solo uno degli agenti morfogenetici tra i molti. Un’opera, in questo senso, è sempre un fatto “collettivo”.
Con questa prospettiva, siamo quindi tornati a sperimentare la materialità dell’opera cercando di far sì che da esperienze di presenza in specifici contesti emergessero delle opere (sculture, installazioni), quali diretta espressione di quel campo relazionale espanso.
Una volta acquisita la consapevolezza della dipendenza delle nostre azioni, in quanto artisti, da un sistema più ampio di forze, la scelta che si prospetta davanti a noi è se si vuole o meno lavorare in sinergia con esse. Si può decidere di accoglierle ed amplificarle o di opporvicisi, tenendo conto che esse sono sempre presenti, anche se preferiamo ignorarle, immaginandoci di essere gli unici autori dell’opera.
Cosa accade, secondo voi, nel passaggio di certi temi dalla spontaneità che ne anticipa l’urgenza a una loro affermazione nella cultura e nell’attenzione di massa come avviene oggi per la questione ecologica?
Alcune questioni legate al pensiero ecologico sono oggi finalmente entrate nel dibattito culturale e arrivate al grande pubblico; in Italia, a dire il vero, con un po’ di ritardo rispetto ad altri Paesi. Anche la filosofia, negli ultimi anni, ha ricominciato ad interessarsi alle cose del mondo e all’Ecologia e oggi ci sentiamo meno isolati in questo confronto. Rileviamo una maggiore consapevolezza diffusa, e anche una certa qualità delle riflessioni.
D’altro canto, quando alcuni termini e concetti diventano mainstream c’è il grosso rischio di un loro impoverimento, di uno svuotamento. A forza di essere utilizzati in modo improprio, strumentale, superficiale, termini come Natura, Ecologia, Sostenibilità perdono progressivamente il loro senso profondo sino al punto in cui non si capisce bene a cosa facciano davvero riferimento.
Riscontriamo anche come, spesso, ad una raffinatezza dell’elaborazione teorica non corrisponda un vero interesse, da parte degli intellettuali, nel capire come tali riflessioni possano diventare prassi, passando ad una dimensione operativa. Forse è un po’ troppo chiedere ai filosofi di occuparsi anche dell’azione, ma una maggiore partecipazione e interesse nel capire come le diverse idee possano diventare operative nel mondo reale in una prospettiva di trasformazione, potrebbe essere molto importante e di aiuto alla società. Questa distanza dal mondo ha origine, secondo noi, dal fatto che spesso tali elaborazioni concettuali non nascono da esperienze personali di trasformazione, ma restano ad un livello di pura speculazione filosofica e risultano quindi in qualche modo “disincarnate”. Questa separazione della dimensione teorica da quella dell’esperienza è tipica della nostra cultura e del nostro modo di intendere la conoscenza stessa e i processi educativi.
Notiamo inoltre come molte delle riflessioni su temi ecologici elaborate dai filosofi contemporanei, giungano in alcuni casi a conclusioni niente affatto originali ma già ampiamente presenti nelle culture tradizionali sin dall’antichità.
Come avete organizzato la narrazione in questo volume per suggerire la mobilità e la fluidità del vostro approccio alla pratica artistica?
Le caratteristiche di mobilità e fluidità che citi sono alla base sia dell’organizzazione dei contenuti all’interno del volume che del progetto grafico, in modo tale da rendere il libro il più possibile coerente con la nostra pratica. Il progetto grafico è stato guidato proprio dalla necessità di dare l’idea di flusso e movimento; l’editore insieme al grafico hanno avuto la libertà di dare forma al libro esprimendo, secondo loro scelte, questo orizzonte.
La monografia è caratterizzata da una sorta di “spina dorsale” costituita da cinque inserti di immagini a pagina intera, che aprono, inframmezzano e chiudono il volume. Tale flusso fotografico è stato creato dall’editore a partire da una nostra selezione di immagini, tratte dal nostro archivio ventennale, non riferite ad opere, ma relative a contesti diversi nei quali abbiamo lavorato.
L’archivio delle opere, curato insieme ad Alessandra Pioselli, costituisce la parte quantitativamente più rilevante del volume; esso non è organizzato in modo cronologico, ma per nuclei tematici, porosi e permeabili, ordinati cronologicamente solo all’interno delle dieci “macro-sezioni”, che raggruppano – ponendole sullo stesso piano – progetti di natura molto diversa: sculture, workshop, installazioni, azioni collettive, percorrenze.
Contributi testuali di natura diversa “movimentano” il libro che raduna, oltre a otto testi critici, i brevi testi di dieci “autori esperienziali”, che in modi e con ruoli diversi hanno partecipato attivamente al progetto del quale sono invitati a scrivere.